Ecco tutte le prove che smontano le tesi anti Eni-Gazprom.

Dai vantaggi economici alle carenze dei gasdotti alternativi: secondo Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, South Stream s’ha da fare
Il materiale diffuso da Wikileaks nelle ultime settimane ha riproposto le consuete polemiche sulle forniture russe di gas all’Italia, concentrandole in particolare sul progetto di gasdotto dalla Russia che dovrebbe attraversare il mar Nero, il famoso South Stream. In questi mesi, in un mercato caratterizzato da eccesso di offerta, noi europei mettiamo in discussione i progetti di fornitura.
Nel 2007, quando partì South Stream, la domanda cresceva spedita e il gas in Europa sembrava non bastare, il mercato era corto con poca offerta e si cercava di siglare nuovi accordi. La recessione del 2009 ha fatto crollare la domanda di gas, creando un eccesso che molti stanno erroneamente giudicando come strutturale, destinato a durare a lungo, commettendo così l’errore di considerare superflue le infrastrutture di importazione, fra cui South Stream. Tutte le grandi società importatrici in Europa si sono trovate a dover pagare quantità di gas non ritirate, per effetto delle clausole del “prendi o paga”, “take or pay”, dei contratti a lungo termine strutturati per dare sicurezze ai compratori, quando manca il gas, e ai venditori, quando manca la domanda. (Le stesse clausole, tuttavia, sono più flessibili di quanto sembri).

La caduta della domanda del 2009 e del 2010 è stata di proporzioni storiche, mettendo in effetti a dura prova il sistema contrattuale di lungo termine su cui è cresciuta negli ultimi 50 anni l’industria europea del gas. Non appena la domanda di energia ripartirà, finalmente per una ripresa economica più sostenuta, i consumi di gas torneranno a salire e allora anche le importazioni di gas saranno di nuovo oggetto di maggiore preoccupazione per noi consumatori, meno lo saranno per i venditori.

Il progetto South Stream è uno dei più difficili al mondo nel trasporto di energia: con un investimento di circa 20 miliardi di dollari dovrebbe portare oltre 60 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia al centro di smistamento di Baumgarten sul confine fra Austria e Repubblica ceca, dove già oggi arriva la gran parte del gas russo verso i grandi compratori europei. Per l’Eni, al di là della congiuntura economica, il progetto porta numerosi vantaggi, a cominciare dal rafforzamento dei rapporti commerciali e tecnologici con la Russia, in linea con quanto accaduto nei precedenti 40 anni. Potrebbe recuperare anche il tempo perso nei confronti del consorzio tedesco (E.ON, Wintershall, Gasunie e Gaz de France) già avanti nella realizzazione di North Stream nel Baltico, progetto tecnicamente e geograficamente più semplice, ma che vede anche una maggiore coerenza della politica estera della Germania. Sfrutterebbe le conoscenze accumulate da Saipem nella realizzazione di Blu Stream, il gasdotto entrato in servizio nel 2003 che attraversa il mar Nero da nord a sud per arrivare in Turchia per 380 km, con una capacità di 16 miliardi m3 anno. La linea è già oggi posseduta da una joint venture paritetica fra Eni e Gazprom. La leadership mondiale di Saipem nella realizzazione di gasdotti in mare verrebbe così consolidata.

Sotto il profilo più strategico, si critica South Stream perché vi sarebbe la supposta alternativa Nabucco. Questo in realtà ha scarse, se non nulle, possibilità di trovare del gas in grandi quantità come necessario, almeno nei prossimi 10 anni; l’unica grande fonte di gas dell’area a est della Turchia è l’Iran, che soffre di embargo economico su tutti i progetti, proprio da parte degli Stati Uniti che osteggiano invece South Stream. Volumi potenziali si trovano in Turkmenistan, ma l’ex Repubblica sovietica è priva completamente di gasdotti verso ovest e soprattutto ha la necessità di attraversare il Caspio, dove la giurisdizione è tutta da definire fra gli stati che si dividono il mare e dove domina il Kazakistan, che vuole esportare gas anche lui verso l’Europa.

Chi al contrario ha enormi riserve di gas che deve sfruttare per stabilizzare la sua economia interna è la Russia. Detiene quasi un quarto delle riserve mondiali di gas con costi di produzione molto bassi. Attualmente è il primo produttore mondiale di petrolio, con oltre 10 milioni di barili al giorno, il 13 per cento del totale mondiale, pur avendo riserve di molto inferiori a quelle del gas, o a quelle di petrolio dei paesi Opec. Sommando gas e petrolio è di gran lunga il primo produttore al mondo ed è da decenni il primo fornitore di energia dell’Europa, soprattutto grazie alla rete di gasdotti e agli oleodotti realizzati durante il comunismo. La sua affidabilità commerciale è stata provata in passato e i recenti problemi invernali sul gas sono stati originati da pretese poco fondate dell’Ucraina.

Fra le ragioni che vengono erroneamente indicate circa il fatto che l’Italia e l’Europa non avrebbero bisogno di gas russo vi è quello dell’abbondanza di gas non convenzionale da scisti e argille. Il fenomeno è certamente importante, ma ad oggi queste riserve sono sfruttate esclusivamente negli Stati Uniti, di cui rappresentano circa la metà dell’output interno. Si tratta di gas proveniente da formazioni rocciose dove la pressione è bassa e dove sono necessarie pertanto tecniche innovative di produzione. Anche se le stime sono relativamente difficili, è comunque certo che nel sottosuolo sia conservato un ingente patrimonio di gas. Occorre sottolineare, tuttavia, che questo gas non potrà essere prodotto in Europa in simili quantitativi per ragioni di regolazione ambientale. Infatti la tecnologia consuma grandi volumi di acqua e impatta su vaste aree dove si trovano le riserve. Negli Stati Uniti ciò è relativamente più semplice per normative meno stringenti e per territori molto ampi e disabitati.

In teoria molto gas via GNL (Gas Naturale Liquefatto) che era destinato agli Stati Uniti ora non vi trova collocazione ed è destinato ad altri mercati, fra cui anche quello europeo. Il fenomeno, effettivamente esistente, è comunque ancora limitato a causa dei pochi terminali di rigassificazione esistenti. L’Italia ne sa qualcosa, non riuscendo, nonostante i numerosi progetti, a realizzarne, se non uno costosissimo al largo di Rovigo completato nel 2009. Da qui la necessità e l’urgenza di realizzare anche i terminali di rigassificazione che non sono alternativi ai tubi, ma, per noi importatori, sono complementari. Solo con abbondanza di infrastrutture di importazione, come l’esperienza americana e inglese insegna, si potrà creare un mercato spot del gas, con prezzi disancorati finalmente dal petrolio, quelli che in questi giorni stanno aumentando e che probabilmente porteranno a prezzi più alti anche del gas per i nostri consumatori a partire dal primo gennaio 2011.

 

Davide Tabarelli
Presidente di Nomisma Energia
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